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Svegliarsi la mattina ed esplicare puntualmente, come un orologio, l’evacuazione è una felice realtà per molti umani, ma per moltissime persone questa rappresenta un sogno, che diventa un vero incubo.

Il tarlo patologico della stipsi non si materializza acutamente, ma mina lentamente le persone che ne sono affette. Le prime difficoltà sono superate con una relativa facilità, ma con il trascorrere del tempo, spesso quantificato in anni, il problema gradualmente aumenta e con esso tutte le differenti tattiche per risolverlo.Si inizia con il mangiare più frutta e verdura, poi si ricorre alle prugne secche, per passare agevolmente alle marmellate; a seguire, qualche volta a settimana si ricorre alla magnesia e, quando questa non basta più, ecco pronte le erbe, meglio se assunte tutte le sere. Anche questo comincia a non bastare e allora spuntano fuori polveri, perle e confetti naturali e infine fibre e purganti.A questa graduale ingravescente sequela orale si sovrappone quella temporale.

All’inizio la seduta sulla tazza dura una decina di minuti, poi si passa, con l’abitudine, alla mezz’ora, gradualmente e inconsciamente si raggiunge l’ora, fino a dedicare la mattinata alla evacuazione. Tutto questo è vissuto in maniera inconsapevole e il problema è affrontato quando il bagno in casa è unico e la famiglia numerosa. Le massaie o i pensionati trovano rimedio con i tempi posticipando il confronto con la tazza, si possono verificare in ogni modo situazioni incredibili, paradossali, che sfiorano il ridicolo e suscitano il riso, che deve essere evitato solo per la loro drammatica veridicità.Trovarsi seduto di fronte un padre disperato per la condizione del figlio sedicenne, che compromette anche la felicità della famiglia, è sicuramente una situazione usuale per molti medici, ma la drammaticità dell’evento assume una valenza diversa in rapporto alla specialità che il medico esercita. Questo non significa che la preoccupazione manifestata dal padre o le difficoltà affrontate da tutto l’ambiente familiare non siano reali, anzi assumono la dimensione del dramma esistenziale.

I fatti. Preceduti da una telefonata e accompagnati da una calorosa lettera di un mio vecchio compagno di corso e frequentazione universitaria, un giorno di non molti anni fa si presentano nel mio studio padre e figlio, residenti in una cittadina della provincia romana. Appena seduti il padre, un signore di cinquantanni, dall’aspetto distinto, ansioso nel comportamento, porgendomi la lettera dell’amico collega, mi preannuncia che ero stato segnalato come l’unico medico che poteva aiutare il figlio. Questa considerazione, anche se rinvigoriva il mio orgoglio professionale, come sempre in queste occasioni, mi condizionava, non poco, nell’ assumermi la responsabilità di assistere un paziente che si preannunciava difficile nella discriminazione diagnostica e quindi terapeutica. Dopo i primi approcci convenevoli volti ad alleggerire la situazione, ho cercato di instaurare un dialogo diretto con il giovane paziente che, naturalmente, manifestava un certo imbarazzo. La storia risaliva a qualche anno prima, quando il ragazzo, iniziata la scuola media superiore, aveva accusato i primi episodi di stitichezza. All’inizio il tutto era risolto con l’assunzione di fibre, aumentando il consumo di frutta, anche cotta, e verdure che svolgevano la loro azione benefica dopo tre o quattro giorni. In breve il disagio nella evacuazione ha condotto il ragazzo a cercare di andare in bagno di sera, quando con tranquillità poteva dedicare più tempo a questa funzione fisiologica, ma sempre e in ogni modo con un progressivo sforzo nel cercare di espellere le feci. Persistendo le difficoltà e la sofferenza, su consiglio di un medico, Fabio inizia l’assunzione prima di prodotti d’erboristeria e infine di purganti. Aveva solo quindici anni allora, e dopo poco tempo gli sforzi a defecare divenivano sempre più importanti e si accompagnavano a dolore e perdite di sangue durante e dopo l’evacuazione. Per Fabio e la sua famiglia comincia così il lungo calvario che  condurrà a consultare diversi specialisti ed eseguire molteplici esami diagnostici. Ora, sottoporsi ad una visita medica non comporta alcuna difficoltà per molti di noi, ma provate ad immaginare cosa significa per un ragazzo in pieno sviluppo fisico, proiettato verso una maturità mentale e psicologica, sottoporsi a frequenti esplorazioni digitali del retto, ad esami radiologici, quali l’RX digerente, il clisma opaco e la defecografia, a rettoscopie e colonscopie.

Fabio da circa un anno restava chiuso in bagno, tutte le mattine, per oltre cinque ore, aveva abbandonato la scuola, non frequentava più gli amici e aveva perso i capelli. La famiglia aveva dovuto cambiare casa (necessitavano a questo punto tre bagni visto che padre e madre lavoravano e il fratello più piccolo andava a scuola); il padre oltre ad accollarsi i costi del mutuo bancario, doveva sopperire alle spese mediche aggravate da quelle esose per la risoluzione della calvizie del figlio. La situazione divenne difficile quando la madre abbandonò il lavoro per seguire il figlio ormai caduto in depressione e che rifiutava ogni rapporto sociale al di fuori dell’ambito familiare. Fabio ormai si era isolato dalla vita a soli sedici anni.

Emotivamente è difficile accettare che un ragazzo sedicenne sia calvo, senza amici, in depressione, isolato, senza alcun interesse verso la vita vissuta dai ragazzi della sua età. Razionalmente si può accettare che un genitore e una famiglia affrontino mille difficoltà, facciano mille sacrifici, si riducano a rasentare la povertà pur di aiutare un figlio gravemente malato. Scientificamente è inaccettabile che l’attuale situazione di Fabio, sedici anni, calvo, depresso, asociale, sofferente, sia stata determinata dalla stitichezza. Quando ho visitato Fabio, quella mattina, la sua documentazione clinica era sconcertante ed evidenziava l’inesorabile progressione della stitichezza, che culminava nella diagnosi fatta dal mio vecchio compagno di corso, confermata dall’esame istologico, ma da lui abilmente e magistralmente evidenziata con un attento esame endoscopico. La mia visita confermò soltanto le devastanti conseguenze di una stitichezza cronica.

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