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Perdite di sangue anche copiose durante la defecazione, con dolore più o meno intenso, la comparsa di prurito anale, a volte associato con la comparsa di ‘bozzetti’ sull’ano.
Sono questi i sintomi principali dell’inizio della patologia emorroidaria, che colpisce sempre con più frequenza la popolazione mondiale: dopo la carie dentale, infatti, le emorroidi patologiche sono la seconda patologia benigna più diffusa al mondo.
Se temi di esserne affetto, e magari ti hanno proposto un trattamento chirurgico per risolvere il problema, puoi leggere quest’articolo informativo.

Per secoli ritenute (a torto) delle ‘vene varicose’ i cuscinetti emorroidari possono diventare patologici in seguito a svariate cause scatenanti, tra le quali stitichezza cronica ed i continui sforzi per l’evacuazione di feci troppo dure.
La soluzione chirurgica è spesso proposta ai pazienti, molti dei quali nutrono perplessità su un intervento che giudicano invasivo e doloroso.
Per capire al meglio cosa può portare il medico a propendere per l’intervento chirurgico risolutivo, è necessario conoscere nel dettaglio cosa sono le emorroidi, come sono fatte e quando diventano un problema.

Emorroidi: quando c’è bisogno di intervenire chirurgicamente?

Le emorroidi sono dei plessi arterovenosi, delle strutture anatomiche presenti normalmente nel canale anale fin dal momento della nascita.
Sono situate nella parte più interna del canale anale (quella alta), ed il loro scopo principale è l’irrorazione sanguigna.
Datosi che, per ovvi motivi anatomici, non sono visibili direttamente, la loro presenza in condizioni di normalità non è avvertita dalla persona.
Essendo però posizionate in una zona quasi costantemente sotto pressione, in cui è presente il passaggio di feci pressoché quotidianamente, le emorroidi possono ingrossarsi, uscire dalla loro sede naturale, infiammarsi e, di conseguenza, causare disturbi di varia natura.

Solo nel caso di emorroidi in condizioni di non normalità (infiammazione, ingrossamento, ecc.) si può quindi parlare di ‘patologia emorroidaria’.

Come si presentano le emorroidi

Le emorroidi non patologiche non sono visibili ad occhio nudo, in quanto posizionate in alto, nel canale anale.
All’analisi anatomica, si presentano come cuscinetti artero-venosi: tanti vasi uniti assieme per mezzo di anastomosi, da fibre di collagene del tessuto connettivo.
Nella femmina, il plesso emorroidale è in comunicazione con il plesso utero-vaginale, mentre nel maschio il collegamento è con il plesso venoso vescicale.
Quest’abbondanza di collegamenti riuniti tutti in una dimensione abbastanza ristretta fa capire subito quanta irrorazione sanguigna c’è nella zona emorroidale.
Sommariamente, i ‘cuscinetti’delle emorroidi sono divisi in due regioni definite dalle linea pectinea (la linea che separa il retto dall’ano): emorroidi interne ed esterne.
L’alta percentuale di collagene presente nelle emorroidi fa sì che tutto il plesso sia notevolmente elastico e reattivo: ciò infatti è indispensabile in una zona dove allargamenti e restringimenti sono frequentissimi ogni giorno, e la cui elasticità è pertanto essenziale.

Perché le emorroidi diventano patologiche?

Il plesso emorroidale è costantemente sottoposto a tensione in pressoché ogni momento della giornata.
Tale tensione e pressione aumenta esponenzialmente durante l’atto dell’evacuazione, in cui il canale anale si allarga considerevolmente, e le feci vengono espulse.
La grande quantità di collagene presente nel tessuto emorroidale e la presenza di una grande irrorazione sanguigna permettono ai cuscinetti delle emorroidi di adattarsi a queste dilatazioni e a queste pressioni, ritornando poi alla forma e alla sede originaria.
In condizioni particolari – sia meccaniche propriamente dette o emodinamiche – tale ‘sforzo’ però causa un danneggiamento di questo sistema elastico, e le emorroidi non riescono – o faticano – a tornare alla dimensione o alla sede di normalità.

Tali condizioni particolari possono essere un eccessivo carico di pressione in seguito a sforzi fisici (sollevamento di grandi pesi, parto naturale, stitichezza, ecc.), oppure l’indebolimento e la degenerazione del tessuto elastico muscolare che circonda le emorroidi stesse, a volte sfiancato dai continui sforzi per l’evacuazione di feci particolarmente dure (come avviene in caso di stipsi cronica).

Anche continui attacchi di diarrea, l’abuso di lassativi oppure una dieta povera di fibre, unita magari ad una vita particolarmente sedentaria con un eccesso di peso corporeo, possono portare ad un’anomalia della pressione intraddominale, causando una dilatazione abnorme dei cuscinetti emorroidali.

Infine, non è da sottovalutare il fattore età: con l’aumentare dell’età la qualità del collagene e della tonicità muscolare decade, favorendo quindi l’impossibilità dei tessuti di sostegno a contrastare efficacemente la pressione intraddominale.

Le emorroidi si possono infettare, perché?

Quando i cuscinetti emorroidali subiscono un’alterazione (provvisoria o cronica), sia di forma che di sede, diventano molto più delicati e ‘sensibili’, principalmente durante la fase più traumatica, ovverosia l’evacuazione delle feci.
Le feci sono materiali di scarto espulsi dal colon umano, composti in larga misura (oltre l’80%) da batteri.
Tali batteri sono ben noti e ben riconosciuti dal nostro sistema immunitario e, in situazioni di normalità, non causano problemi di alcun tipo.
Nel caso di emorroidi gonfie e/o fuori sede però, la situazione cambia: lo sfregamento delle feci cariche di batteri su una zona grandemente irrorata di sangue ed estrusa in maniera abnorme può causare delle lesioni, di entità variabile, con conseguente infiammazione oppure, nei casi più gravi, infezione.
Ancora, il prolasso emorroidale può portare ad una difficoltosa detersione della zona, peggiorando quindi il quadro generale.

Quanto possono divenire gravi le emorroidi?

Classicamente, le emorroidi patologiche sono suddivise in quattro gradi, a seconda della loro estrusione e gravità:

  • I grado, in cui si può apprezzare una leggera dilatazione interna delle emorroidi, non rilevabile esternamente e identificabile solo con screening proctoscopico (ad esempio, con la Videoproctoscopia Digitale);
  • II grado, in cui la dilatazione emorroidale è più marcata, rendendole capaci di uscire dal canale anale durante la defecazione, per poi rientrare in posizione spontaneamente;
  • III grado, in cui le emorroidi sono così dilatate che fuoriescono dal canale anale costantemente, e rientrano solamente se riposizionate manualmente;
  • IV grado, in cui le emorroidi sono prolassate definitivamente, e non possono essere riposizionate neppure manualmente

Ovviamente, la definizione è solo una traccia generica: ci possono essere situazioni di mezzo, con stadi emorroidali semi-cronicizzati, che però possono regredire se trattati.
Indipendentemente dal loro grado, comunque, le emorroidi possono dare sempre origine a complicazioni, la più comune (e dolorosa) delle quali è una trombosi emorroidaria: un coagulo di sangue all’interno delle emorroidi, che le colora di bluastro e causa intenso dolore al paziente, a volte così elevato da renderne difficile persino la deambulazione.
Emorroidi di III e IV grado, ormai cronicizzate, causano frequenti disturbi al paziente, come croniche infiammazioni ed arrossamenti, prurito anale, sanguinamento intenso, dolore continuo durante l’evacuazione e portare a complicazioni come la formazione di un ascesso perianale, con conseguente formazione di pus, che sovente richiede un intervento chirurgico d’urgenza.

Quando è necessario l’intervento chirurgico per la risoluzione delle emorroidi?

In linea di massima, l’intervento chirurgico è consigliato quando la terapia medica non può fornire una cura risolutiva della patologia.
La valutazione deve essere fatta caso per caso, considerando il livello di gravità della patologia emorroidale, il grado di estrusione, le complicanze (se frequenti, sporadiche oppure croniche) e, in generale, della qualità di vita del paziente.
Il trattamento medico-farmacologico è  indicato per le emorroidi di primo e di secondo grado: si basa sull’azione combinata di alcuni medicinali (per esempio preparati a base di flavonoidi) e una modifica sostanziale della dieta, che miri a favorire un’evacuazione quotidiana ben formata ma morbida.

I trattamenti chirurgici sono spesso indicati laddove la rieducazione alimentare e la terapia farmacologica non possono arrivare: la cura delle emorroidi prolassate croniche.
In tali situazioni, che nella scala di gravità possono raggiungere il terzo od il quarto grado, il tessuto patologico è impossibilitato a tornare alla dimensione originaria, e deve essere quindi ridotto artificialmente.
Operare su una zona del corpo così piccola, così irrorata di sangue e perennemente in tensione non è mai facile, e presenta molte difficoltà.
Nel corso degli anni e col progredire della tecnica chirurgica, sono state messe a punto una grande varietà di tecniche per risolvere  la patologia emorroidaria.

Le tecniche mini invasive per risolvere definitivamente le emorroidi: quali sono e come funzionano?

Si definiscono ‘mini-invasive’quelle tecniche chirurgiche per la risoluzione delle emorroidi aventi due caratteristiche fondamentali:

  • Sono praticate in un’area isolata e circoscritta di una zona già molto piccola;
  • Arrecano poco disagio post-trattamento al paziente, permettendogli di ritornare alla vita di tutti i giorni da subito

Non tutte le condizioni di gravità delle emorroidi possono essere risolte da un intervento mini-invasivo: è il chirurgo colonproctologo che, eseguita la visita e considerato lo stato generale della patologia, deve decidere se possono essere attuate o meno.

Sono esempi di tecniche chirurgiche mini-invasive la legatura elastica, la scleroterapia e la coagulazione all’infrarosso.
La dearterializzazione selettiva delle emorroidi mediante il laser, con l’utilizzo del doppler (HELP) causa pochissimo dolore, e può essere praticata anche ambulatorialmente: dimostra spesso ottimi risultati nel trattare le emorroidi di primo e di secondo grado.

Negli ultimi anni la terapia delle emorroidi con un grado più elevato (II e III grado) ha trovato un valido ausilio nella dearterializzazione selettiva mediante il doppler del plesso emorroidale (THD e HAL Doppler).

Lo scopo di queste tecniche non è l’asportazione definitiva della patologia emorroidale ma la sola riduzione della pressione sanguigna e dell’iper-afflusso ematico che ‘fa gonfiare’ i cuscinetti emorroidari.
L’eventuale residuo mucoso prolassato può venire sospeso all’interno del retto, evitando quindi l’asportazione.
Come si può comprendere, le tecniche mini invasive, se non sono seguite da un adeguato percorso terapeutico post intervento, non rappresentano una cura definitiva della patologia e sono frequenti le recidive.

Quando c’è bisogno della chirurgia radicale?

Laddove la massa emorroidaria sia ormai definitivamente prolassata fuori dall’ano, configurando quindi una situazione di terzo o quarto grado, con associato o meno prolasso della mucosa rettale, le tecniche mini-invasive devono lasciare il posto ad interventi chirurgici più radicali, da praticarsi in anestesia.
Vi sono differenti tipi di tecniche radicali che possono aiutare a risolvere un ampio spettro di situazioni, ma in via generale la chirurgia dovrebbe sempre mirare a:

  • Risolvere definitivamente (cioè con risultati apprezzabili e stabili nel tempo) il problema delle emorroidi patologiche;
  • Riportare il canale anale ad una situazione di normalità in assenza di dolore;
  • Rispettare gli sfinteri;
  • Ridurre al minimo il rischio di complicanze e la degenza post-operatoria

Quale tecnica chirurgica è adatta al mio caso di emorroidi?

La scelta del piano terapeutico e l’eventuale intervento chirurgico ricade sullo specialista colonproctologo che effettua la diagnosi, che dovrà valutare attentamente la situazione del paziente, la sua storia clinica e, soprattutto, i motivi scatenanti della patologia emorroidaria.
Non esiste una tecnica chirurgica ‘migliore dell’altra’, così come non esiste una tecnica universale risolutiva buona per qualsiasi caso.

Non tutti i gradi di emorroidi sono idonei per un intervento in particolare e anzi, spesso non sono idonei neppure per un intervento in via generale: a volte, è sufficiente un percorso terapeutico e farmacologico per tornare alla normalità.

Più che domandarsi quale intervento eseguire, magari recuperando informazioni non attinenti oppure errate da personale non medico oppure non specializzato, il paziente dovrebbe affidarsi alla visita specialistica di un chirurgo proctologo, che saprà certamente individuare il percorso terapeutico migliore in accordo con lo stato della patologia.

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