Menu

Stipsi o stitichezza: una patologia che possiamo vincere

Clicca qui per le domande e risposte su questo argomento

Cosa si intende per stipsi o stitichezza?

La stipsi (o stitichezza) è una alterazione dell’alvo caratterizzata dalla emissione infrequente, difficoltosa ed apparentemente incompleta di feci di consistenza aumentata.
Normalmente nella maggioranza delle persone adulte e sane, la defecazione avviene in media una volta ogni 24 ore e provoca una espulsione di circa 150 grammi di feci (considerata la media europea e nord-americana).
Variazioni di questo ritmo sono comunque molto frequenti e non per questo assumono carattere patologico.
Pertanto definendo la stipsi come un ritardo nella evacuazione, dobbiamo considerare i limiti di tale valutazione in maniera piuttosto elastica.
La stipsi è un disturbo di frequente riscontro nella pratica clinica e rappresenta un motivo di grande disagio per il paziente che, oltre allo sforzo che deve compiere per l’eliminazione di feci dure, è soggetto a fastidiose patologie anali.

Quanto è frequente la stipsi?

Un’esatta stima del fenomeno non è disponibile.
La rilevanza clinica e l’elevato costo sociale di questa patologia, sovente autodiagnosticata e automedicata, hanno indotto numerosi studiosi a porsi come obiettivo l’individuazione di criteri idonei per formulare una esatta definizione di stipsi.
Per il raggiungimento di tale obiettivo è stato necessario considerare esclusivamente i casi di stipsi cronica e di natura funzionale.
Lo scopo è stato raggiunto tramite dei questionari che hanno studiato le abitudini evacuative di soggetti sani.
Prendendo in considerazione criteri oggettivi e sintomatologia soggettiva accusata dal paziente sono stati stabiliti alcuni criteri che definiscono lo stato di stipsi cronica: il numero delle evacuazioni deve essere inferiore a due a settimana, l’evacuazione deve essere difficoltosa almeno una volta su quattro, la consistenza delle feci deve essere aumentata o dura o avere una forma “caprina” almeno una volta su quattro e, sempre con tale frequenza, si deve avere la sensazione di uno svuotamento incompleto.
Almeno due di questi sintomi riportati devono essere presenti da dodici mesi, senza uso di lassativi.

I numeri della stipsi in relazione a sesso ed età

Prendendo in considerazione i criteri sopra esposti, il sintomo stitichezza è stato riscontrato nel 20% della popolazione occidentale, con le donne che sono risultate maggiormente colpite rispetto agli uomini.
In età pediatrica si presenta con una frequenza del 3% e rappresenta il 25% di tutte le consultazioni gastroenterologiche pediatriche.
L’incidenza tende ad aumentare con l’età fino a valori variabili dal 20 al 40% dopo i 65 anni.
L’aumentata incidenza della stipsi nell’anziano è da collegare a numerose cause, tra le quali la riduzione dell’introito alimentare, la diminuzione dell’attività fisica, le alterazioni della sensibilità che può non far avvertire lo stimolo alla defecazione.

Classificazione della stipsi

Dal punto di vista clinico e diagnostico la stipsi va distinta in una forma idiopatica o primitiva e in forme secondarie.
La stipsi può essere secondaria a patologie endocrine (ormonali), neurologiche, intestinali o può essere iatrogena (indotta da farmaci o altre terapie).
Il riconoscimento di una o più di queste cause porterebbe alla correzione del primum movens organico e quindi alla risoluzione della stipsi.
Le forme primitive di stipsi sono: la semplice, da sindrome del colon irritabile, da inerzia del colon, la stipsi rettale, da gravidanza.
La stipsi semplice, la forma più diffusa, è legata ad una dieta povera di scorie, ad una vita sedentaria e, talora, ad una abitudine a trattenere le feci.
Una forma simile si riscontra in quei pazienti che si sottopongono a diete dimagranti od affetti da anoressia nervosa.
Altra forma primaria estremamente frequente è quella associata a colon irritabile, caratterizzata oltre che dalle alterazioni dell’alvo anche da dolore addominale, alterata motilità del colon, ansia e depressione.
L’inertia coli è una forma di stipsi cronica che colpisce prevalentemente le donne; è caratterizzata da un intervallo tra due evacuazioni di 7-8 giorni ed un volume delle feci aumentato rispetto alla norma. L’esatta patogenesi di questa forma non è nota, ma si ipotizza una alterazione ormonale.
La stipsi da ostruita defecazione o da mancato rilasciamento del muscolo pubo-rettale comporta la mancata apertura di ciò che radiologicamente si configura come angolo rettale, cioè il persistere della chiusura del meccanismo a valvola che garantisce la continenza fecale.
Oltre alla classificazione eziopatogenetica si può considerare l’aspetto fisiopatologico della stipsi.

In base a questi rilievi si può classificare la stipsi in:

  • Stipsi colica (deficit di progressione del contenuto intestinale);
  • Stipsi rettale (deficit di espulsione del contenuto intestinale)

La stipsi colica è rappresentata da una diffusa alterazione motoria del colon con associato un aumento dei tempi di transito, oppure da un ostacolo funzionale dovuto ad una iperattività segmentante del colon.
La stipsi rettale, od outlet-obstruction, è definita come da una alterazione motoria localizzata ai tratti distali del colon.

Le patologie correlate alla stipsi

La definizione di ostruita defecazione è stata data come una forma di stipsi che interessa la funzionalità dinamica del pavimento pelvico.
Nei pazienti stitici le feci transitano fino al retto in tempi normali, ma qui stazionano per un tempo maggiore permettendo al viscere di riassorbire una maggiore quantità di acqua, pertanto le feci diminuiscono di volume, diventando più dure e secche e più difficili da eliminare.
Nello sforzo i pazienti tendono ad indebolire il perineo per sfiancamento, provocano lo stiramento dei nervi pudendi, il prolasso della mucosa del retto ed un sovraccarico dei plessi emorroidali, che può conseguentemente portare allo sviluppo della patologia emorroidale.
Pertanto le cause e gli effetti della defecazione ostruita sono molteplici e la sua risoluzione è in un approccio globale del problema.

La stipsi ed i suoi effetti sul pavimento pelvico

Le dinamiche funzionali del pavimento pelvico possono essere classificate in sensoriali e motorie: nel primo caso vi è una alterata identificazione dello stimolo; nel secondo una compromessa dinamica defecatoria dovuta a cause congenite od acquisite.
Le forme acquisite possono essere a loro volta classificate in una forma spastica ed una forma flaccida, potendosi avere anche forme miste.
Nel primo caso si ha una contrazione del pubo-rettale o della struttura muscolare del pavimento pelvico. Tale forma di stipsi ha eguale frequenza tra gli uomini e le donne. Nel caso della stipsi flaccida, essa è dovuta ad un deficit delle strutture neuro-aponevrotiche e muscolari del pavimento pelvico.
Ciò accade molto più frequentemente nella donna con un rapporto di 4:1.
Pertanto è più appropriato definire tali patologie non come defecazione ostruita, ma come stipsi espulsiva.
Nella stipsi espulsiva è possibile attuare diverse terapie tra cui la riabilitazione funzionale nel caso di alterato rilasciamento muscolare, nella sindrome del perineo discendente e nel rettocele.
Spesso, però, l’ansia porta questi pazienti a cercare una soluzione rapida, ma la terapia chirurgica proposta a questi pazienti, affrontando il problema della singola patologia, non riesce a risolvere anche quelle associate, risultando così poco efficace e crea complicanze e sequele.

Sintomatologia della stipsi

La sintomatologia legata alla stitichezza, benché presenti aspetti comuni tra i pazienti, non è costante.
La maggior parte dei pazienti riferisce: alito fetido, lingua patinosa, turbe dell’appetito, flatulenza, nausea, diminuito potere dell’attenzione, depressione, irrequietezza, cefalea, insonnia ed irritabilità.
L’eziopatogenesi di questo corredo sintomatologico non è nota.
Si riteneva che fosse da attribuire alla produzione di sostanze tossiche dovuta al ristagno del materiale fecale, ed al loro assorbimento intestinale.
Tale origine tossica è stata però esclusa.
D’altro canto, molti pazienti che presentano evacuazioni settimanali o mensili non riferiscono, associata alla stipsi, nessuno dei disturbi su riportati.
È verosimile che esista una notevole variabilità soggettiva del corredo sintomatologico, probabilmente la componente “psichica” è determinante, soprattutto negli individui che presentano un processo di “fissazione anale”.
L’uso indiscriminato di lassativi, talora sotto una spinta pubblicitaria che identifica uno stato ottimale di salute con la quotidianità delle evacuazioni, è estremamente pericoloso.
La principale conseguenza all’uso abituale di lassativi, in particolare di quelli di contatto, è il colon da catartici, cioè la defunzionalizzazione del colon, conseguente all’ipotonia della muscolatura dell’intestino e la progressiva diminuzione di sensibilità da parte del colon allo stimolo esercitato dalla massa fecale.

Come si cura la stitichezza?

La terapia non può prescindere da una esatta diagnosi nosologica.
Prima di iniziare un qualunque tipo di terapia è necessario capire se si debba trattare una stipsi funzionale od una stipsi organica.
Si può avvalere di presidi igienico-comportamentali, medici, chirurgici e riabilitativi.
Molti Autori ritengono che il modificare la dieta possa migliorare notevolmente i casi di stipsi funzionale lieve.
Si ritiene che una dieta adeguata debba favorire il consumo quotidiano di cereali integrali e legumi.
Controverso è l’impiego di crusca che secondo alcuni ha una azione irritante sulla mucosa e riduce l’assorbimento di sali minerali e vitamine.
La somministrazione di fibre indigeribili determina una riduzione della pressione intraluminale del colon con una diminuzione del dolore associato, un’accelerazione del transito gastrointestinale ed un aumento della massa fecale.
Gli effetti sono dose dipendente, e l’assunzione di fibre va associata ad un consumo di acqua di almeno 1,5-2 litri al giorno, per rendere più morbide e voluminose le feci.
Nella dieta andrebbe incentivato anche il consumo di frutta e verdura ad ogni pasto, inoltre andrebbe ridotto il consumo di proteine, in particolare di quelle animali.
Nei casi di stipsi funzionale particolarmente ostinata, la dieta può essere integrata con presidi medici.
Utili sono i lassativi solubili di massa, ma il loro impiego andrebbe però limitato nel tempo in quanto potrebbero presentare effetti collaterali come: borborigmi, flatulenza, nausea, vomito, diarrea ed interferenza nell’assorbimento di zuccheri ed elettroliti.
Surfattanti, lubrificanti, clisteri e lassativi osmotici possono essere usati ma con molta attenzione e per breve tempo nei casi particolarmente difficili da trattare, verso la terapia più idonea.

La riabilitazione della stipsi

I pazienti con stipsi espulsiva possono beneficiare di un trattamento riabilitativo diversificato a seconda se si è affetti dalla forma spastica o dalla forma flaccida (più frequente) poiché gli obiettivi da ottenere sono diversi:

  • Un incremento della forza muscolare di contrazione e rilasciamento;
  • L’aumento della resistenza muscolare;
  • Insegnare al paziente a rilasciare il suo pavimento pelvico;
  • Conservare l’elasticità, la viscosità, l’estensione del muscolo denervato

Questi obiettivi sono raggiungibili attraverso momenti riabilitativi fondamentali:

  1. La fisiokinesiterapia;
  2. L’elettrostimolazione;
  3. Il biofeedback 

La fisiokinesiterapia consiste nell’esecuzione di ginnastica del pavimento pelvico mediante esercizi di contrazione e rilasciamento, sincronizzati con gli atti del respiro; questi esercizi sono assistiti (quando vi è un importante deficit muscolare), facilitati (quando si associa una cattiva presa di coscienza), liberi (nella fase domiciliare) e controresistenza (per potenziare la forza muscolare).
L’elettrostimolazione del pavimento pelvico è mirata ad aumentare la forza e la durata della contrazione muscolare.
La stimolazione elettrica di un muscolo normalmente innervato rappresenta un feedback positivo per l’apprendimento di uno schema motorio, nel caso specifico la contrazione del muscolo elevatore dell’ano.
L’elettrostimolazione è effettuata tramite una sonda anale circolare o, nella donna, vaginale, sulla quale sono posizionati due elettrodi bipolari.
La sonda è posizionata nel canale anale od in vagina in modo tale che gli elettrodi prendano contatto con i fasci del muscolo elevatore dell’ano ed è collegata ad un apparecchio computerizzato.
La possibilità, nella donna, di poter usare una sonda vaginale, permette una migliore impostazione dell’azione terapeutica, in quanto lo stimolazione delle strutture muscolari del pavimento pelvico ha maggiore efficacia.
I pazienti sono sottoposti ad elettrostimolazione per un periodo variabile dai 15 ai 30 minuti: i tempi di stimolo inizialmente sono di 5 secondi, che vanno aumentati, gradualmente, nelle sedute successive a 10 secondi, intervallati a periodi di riposo della durata doppia (10 – 20 secondi, rispettivamente) al fine di evitare l’affaticamento muscolare.
Dato lo spessore muscolare da stimolare sono utilizzate frequenze d’onda variabili di 50-100 Hertz, con una velocità di stimolo di 1-2 msec.
Tale metodica è applicata solo nei pazienti con stipsi flaccida, i quali devono migliorare la resistenza muscolare.

Il biofeedback

Dopo la prima fase di trattamento della durata variabile da 3 a 6 sedute, il paziente è educato alla metodica del biofeedback, allo scopo di fargli raggiungere il controllo della contrazione del pavimento pelvico.
La metodica è eseguita mediante l’impiego endoanale o endovaginale di sonde pressorie od elettromiografiche.
Il biofeedback è eseguito per un tempo variabile dai 10 ai 20 minuti e la durata della contrazione è gradualmente aumentata dai 5 secondi iniziali ai 10, con periodi di riposo di valore doppio.
Con questa tecnica si tende ad ottenere una risposta adeguata ad uno stimolo esterno, visivo, sonoro o sensitivo, sviluppato con l’impiego di una apparecchiatura computerizzata.
Il software permette una perfetta elaborazione grafica della contrazione e quindi un adeguato apprendimento dei movimenti.
Inoltre è possibile la memorizzazione e l’elaborazione dei risultati ottenuti per ogni singolo paziente in tutte le sedute, consentendo allo specialista di variare la terapia in base al miglioramento ottenuto.
Le metodiche sono eseguite contemporaneamente, con sedute trisettimanali della durata ognuna di 60 minuti fino ad un totale di 15 sedute. Successivamente i pazienti eseguono dei brevi cicli di richiamo di 6 sedute, dopo 3, 6 e 9 mesi dall’inizio della terapia.
Con la riabilitazione il 66% dei pazienti riferisce dopo 15 sedute una regolarizzazione dell’attività intestinale, con evacuazioni di almeno una volta al dì e con intervalli non superiori a tre giorni, la modificazione della consistenza delle feci e l’abbandono dell’uso dei lassativi e/o catartici.
Alla fine della terapia riabilitativa il 92% dei pazienti ottengono una regolarizzazione delle funzioni intestinali con evacuazioni con frequenza giornaliera, senza uso di lassativi o catartici.


Ti serve aiuto su questo argomento?
Contatta il Dott. Nicastro tramite questo modulo

Manda una mail al Dott. Attilio Nicastro esponendo la tua problematica. Ti risponderemo entro 48 ore. Tutti i campi con il simbolo * sono obbligatori.