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Storie di Stitichezza e dintorni

Storie di Stitichezza e dintorni

AttilioNicastro No Comments

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Svegliarsi la mattina ed esplicare puntualmente, come un orologio, l’evacuazione è una felice realtà per molti umani, ma per moltissime persone questa rappresenta un sogno, che diventa un vero incubo.

Il tarlo patologico della stipsi non si materializza acutamente, ma mina lentamente le persone che ne sono affette. Le prime difficoltà sono superate con una relativa facilità, ma con il trascorrere del tempo, spesso quantificato in anni, il problema gradualmente aumenta e con esso tutte le differenti tattiche per risolverlo.Si inizia con il mangiare più frutta e verdura, poi si ricorre alle prugne secche, per passare agevolmente alle marmellate; a seguire, qualche volta a settimana si ricorre alla magnesia e, quando questa non basta più, ecco pronte le erbe, meglio se assunte tutte le sere. Anche questo comincia a non bastare e allora spuntano fuori polveri, perle e confetti naturali e infine fibre e purganti.A questa graduale ingravescente sequela orale si sovrappone quella temporale.

All’inizio la seduta sulla tazza dura una decina di minuti, poi si passa, con l’abitudine, alla mezz’ora, gradualmente e inconsciamente si raggiunge l’ora, fino a dedicare la mattinata alla evacuazione. Tutto questo è vissuto in maniera inconsapevole e il problema è affrontato quando il bagno in casa è unico e la famiglia numerosa. Le massaie o i pensionati trovano rimedio con i tempi posticipando il confronto con la tazza, si possono verificare in ogni modo situazioni incredibili, paradossali, che sfiorano il ridicolo e suscitano il riso, che deve essere evitato solo per la loro drammatica veridicità.Trovarsi seduto di fronte un padre disperato per la condizione del figlio sedicenne, che compromette anche la felicità della famiglia, è sicuramente una situazione usuale per molti medici, ma la drammaticità dell’evento assume una valenza diversa in rapporto alla specialità che il medico esercita. Questo non significa che la preoccupazione manifestata dal padre o le difficoltà affrontate da tutto l’ambiente familiare non siano reali, anzi assumono la dimensione del dramma esistenziale.

I fatti. Preceduti da una telefonata e accompagnati da una calorosa lettera di un mio vecchio compagno di corso e frequentazione universitaria, un giorno di non molti anni fa si presentano nel mio studio padre e figlio, residenti in una cittadina della provincia romana. Appena seduti il padre, un signore di cinquantanni, dall’aspetto distinto, ansioso nel comportamento, porgendomi la lettera dell’amico collega, mi preannuncia che ero stato segnalato come l’unico medico che poteva aiutare il figlio. Questa considerazione, anche se rinvigoriva il mio orgoglio professionale, come sempre in queste occasioni, mi condizionava, non poco, nell’ assumermi la responsabilità di assistere un paziente che si preannunciava difficile nella discriminazione diagnostica e quindi terapeutica. Dopo i primi approcci convenevoli volti ad alleggerire la situazione, ho cercato di instaurare un dialogo diretto con il giovane paziente che, naturalmente, manifestava un certo imbarazzo. La storia risaliva a qualche anno prima, quando il ragazzo, iniziata la scuola media superiore, aveva accusato i primi episodi di stitichezza. All’inizio il tutto era risolto con l’assunzione di fibre, aumentando il consumo di frutta, anche cotta, e verdure che svolgevano la loro azione benefica dopo tre o quattro giorni. In breve il disagio nella evacuazione ha condotto il ragazzo a cercare di andare in bagno di sera, quando con tranquillità poteva dedicare più tempo a questa funzione fisiologica, ma sempre e in ogni modo con un progressivo sforzo nel cercare di espellere le feci. Persistendo le difficoltà e la sofferenza, su consiglio di un medico, Fabio inizia l’assunzione prima di prodotti d’erboristeria e infine di purganti. Aveva solo quindici anni allora, e dopo poco tempo gli sforzi a defecare divenivano sempre più importanti e si accompagnavano a dolore e perdite di sangue durante e dopo l’evacuazione. Per Fabio e la sua famiglia comincia così il lungo calvario che  condurrà a consultare diversi specialisti ed eseguire molteplici esami diagnostici. Ora, sottoporsi ad una visita medica non comporta alcuna difficoltà per molti di noi, ma provate ad immaginare cosa significa per un ragazzo in pieno sviluppo fisico, proiettato verso una maturità mentale e psicologica, sottoporsi a frequenti esplorazioni digitali del retto, ad esami radiologici, quali l’RX digerente, il clisma opaco e la defecografia, a rettoscopie e colonscopie.

Fabio da circa un anno restava chiuso in bagno, tutte le mattine, per oltre cinque ore, aveva abbandonato la scuola, non frequentava più gli amici e aveva perso i capelli. La famiglia aveva dovuto cambiare casa (necessitavano a questo punto tre bagni visto che padre e madre lavoravano e il fratello più piccolo andava a scuola); il padre oltre ad accollarsi i costi del mutuo bancario, doveva sopperire alle spese mediche aggravate da quelle esose per la risoluzione della calvizie del figlio. La situazione divenne difficile quando la madre abbandonò il lavoro per seguire il figlio ormai caduto in depressione e che rifiutava ogni rapporto sociale al di fuori dell’ambito familiare. Fabio ormai si era isolato dalla vita a soli sedici anni.

Emotivamente è difficile accettare che un ragazzo sedicenne sia calvo, senza amici, in depressione, isolato, senza alcun interesse verso la vita vissuta dai ragazzi della sua età. Razionalmente si può accettare che un genitore e una famiglia affrontino mille difficoltà, facciano mille sacrifici, si riducano a rasentare la povertà pur di aiutare un figlio gravemente malato. Scientificamente è inaccettabile che l’attuale situazione di Fabio, sedici anni, calvo, depresso, asociale, sofferente, sia stata determinata dalla stitichezza. Quando ho visitato Fabio, quella mattina, la sua documentazione clinica era sconcertante ed evidenziava l’inesorabile progressione della stitichezza, che culminava nella diagnosi fatta dal mio vecchio compagno di corso, confermata dall’esame istologico, ma da lui abilmente e magistralmente evidenziata con un attento esame endoscopico. La mia visita confermò soltanto le devastanti conseguenze di una stitichezza cronica.

CURA DELLE EMORROIDI

AttilioNicastro No Comments

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La cura delle emorroidi o meglio della patologia emorroidale prevede diversi approcci terapeutici, basati principalmente sul grado di gravità della patologia, sui sintomi e le complicanze. Si parla di malattia emorroidale quando i plessi arterovenosi (emorroidi), presenti fin dalla nascita nel canale anorettale, subiscono alterazioni strutturali e morfologiche causando sintomi quali: la perdita di sangue “rosso vivo” dall’ano, durante o al termine dell’evacuazione o anche spontaneo;  il dolore anale (tipico nelle complicanze della malattia, come la trombosi o la presenza di una ragade); il bruciore dovuto all’infiammazione del plesso prolassato, a sua volta causa della sensazione di gonfiore, ingombro, pesantezza anale; la presenza di tumefazioni a livello dell’orificio anale esterno, o prolasso muco emorroidale (da non confondere con il prolasso del retto), con relativa perdite di materiale mucoso ed ematico, l’insorgenza di irritazione della cute perianale e relativo prurito. Le complicanze più frequenti della malattia emorroidale sono: la trombosi, l’anemia, gli ascessi perianali, l’incontinenza fecale.

La malattia emorroidaria prevede quattro gradi di gravità:

  • 1° GRADO = dilatazioni interne, visibili alla proctoscopia o alla videoproctoscopia digitale.
  • 2° GRADO = emorroidi che fuoriescono dal canale anale durante l’evacuazione o sotto sforzo e che rientrano nel canale anale spontaneamente.
  • 3° GRADO = emorroidi prolassate, cioè fuoriuscite dal canale anale e che si riducono soltanto manualmente.
  • 4° GRADO = emorroidi prolassate e non riducibili.

Per una corretta cura delle emorroidi è indispensabile eseguire una accurata diagnosi basata su una attenta valutazione della storia clinica della persona sofferente, una accurata visita generale e locale, mediante  una attenta esplorazione anale, che dovrebbe essere “sempre“ completata da una anoscopia, esame quest’ultimo ormai superato dalla Videoproctoscopia digitale.

La cura delle emorroidi può essere medica e il  trattamento farmacologico può  essere indicato  a pazienti con emorroidi di 1° e 2° grado non complicato.  Sostanzialmente è necessario somministrare sostanze che favoriscano una  evacuazione quotidiana e “morbida”, prescrivere farmaci a base di flavonoidi  per favorire la circolazione (a livello emorroidario).  Per lenire i sintomi locali possono essere di aiuto  creme, gel o paste,  contenenti anti-infiammatori e anestetici,  o elementi derivanti da alcune piante officinali che permettono, oltre al controllo dei sintomi, anche una cura locale della patologia.
Quando la cura delle emorroidi di basso grado, con i farmaci, è insufficiente o inefficace è possibile attuare altre metodiche mininvasive locali quali: a legatura elastica; la scleroterapia e la coagulazione all’infrarosso; la crioterapia; la dearterializzazione selettiva delle emorroidarie superiori con l’utilizzo del doppler (HELP, HAL-Doppler, THD).
La cura delle emorroidi di grado più severo (terzo e quarto) prevede il trattamento chirurgico che si avvale di numerose e diverse tecniche.
La cura delle emorroidi con un intervento chirurgico trova indicazione nelle emorroidi di 2°, 3° e 4° grado, nei casi di emorroidi recidive, nei casi di 3° e 4° grado associati a prolasso mucoso del retto e nei casi associati a ragade anale.
L’intervento chirurgico  “ideale”  per la cura delle emorroidi di grado severo è l’emorroidectomia che se ben eseguito e indicato riunisce le le caratteristiche di radicalità, assenza di dolore, assenza di complicanze e minima degenza postoperatoria.

Negli ultimi anni la cura delle emorroidi ha trovato un valido ausilio nella dearterializzazione selettiva mediante il doppler del plesso emorroidale. Questa tecnica, veramente mininvasiva, ha lo scopo di ridurre la pressione e l’iperaflusso ematico a livello del plesso con riduzione graduale della sua dilatazione e abolizione del sanguinamento. In caso di prolasso mucoso associato è possibile eseguire una proctopessi con la sospensione della mucosa eccedente (che non è asportata) all’interno del retto. La dearterializzazione selettiva trova indicazione in tutti i gradi della patologia emorroidaria anche se la sua massima applicazione è nei gradi 2° e 3°.

La cura delle emorroidi si avvale anche di  “cosiddette” terapie chirurgiche alternative, ma completamente inidonee, che hanno lo scopo di alleviare momentaneamente i sintomi al paziente, ma di non risolvere definitivamente il problema alla radice. In questo gruppo rientra la crioterapia.
Discorso a parte merita la tecnica chirurgica tramite  “stapler”: si tratta di una metodica che ha goduto di larga diffusione negli ultimi anni, ma che può creare qualche confusione sul suo reale impiego. Infatti questa tecnica ha come unico obiettivo la riduzione del prolasso e non l’escissione delle emorroidi.

CURARE LA RAGADE ANALE

AttilioNicastro No Comments

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L’incidenza della ragade anale è elevatissima, colpisce prevalentemente individui giovani adulti, con massima incidenza tra i 20 ed i 40 anni. In questa fascia di età predilige il sesso maschile mentre tra 0 e 19 anni le donne presentano un’incidenza 2,5 volte maggiore. Come si può rilevare dalle casistiche, anche se si hanno picchi di maggiore frequenza in determinati intervalli di età, la ragade può presentarsi anche nella prima infanzia come nell’anziano.  Le cause che portano all’insorgenza della ragade anale sono molteplici ma sono soprattutto i disturbi della defecazione la causa principale. Fra questi in assoluto la causa principale è la stitichezza. Il passaggio difficoltoso di feci particolarmente dure, difficile da espellere se non con sforzi ripetuti e continui, comporta una lesione, una ferita del canale anale causa, a sua volta, di un intenso dolore anale con perdita di sangue. Una volta instaurato il trauma e la ferita, per riflesso, si ha una contrazione dello sfintere anale, con conseguente ipertono, che determina il cronicizzarsi della lesione che diventa una vera e propria piaga all’interno del canale anale.  Ma anche i traumi diretti del canale anale, le infiammazioni e la diarrea possono rappresentare la causa predisponente all’insorgenza della ragade.

Da un punto di vista clinico la ragade può essere di due tipi: acuta e cronica. La ragade anale  acuta si presenta come una ferita arrossata e facilmente sanguinante spesso localizzata nella parte posteriore del canale anale. La ragade anale cronica è una ferita i cui margini sono duri e rigidi, il fondo è biancastro e profondo, fino a scoprire i fasci del muscolo sfintere interno. Spesso sul margine esterno dell’orificio anale si formano delle escrescenze cicatriziali che facilmente si infiammano dando origine a tumefazioni arrossate, gonfie e dolorose. Queste lesioni non devono essere confuse con le emorroidi ma sono solo una manifestazione esterna della patologia del canale anale, denominate marische.

La diagnosi della ragade anale è relativamente semplice. Durante la visita proctologica è facile evidenziare la lacerazione del canale anale, al tatto dolorosa. L’esplorazione con il dito del canale, non solo rileva l’avvenuta lesione, ma permette di evocare il dolore e la presenza dell’eventuale ipertono dello sfintere anale. Lo specialista completerà la visita con una videoproctoscopia digitale, esame che permette di mettere in evidenza le caratteristiche morfologiche della  ragade anale e potrebbe consigliare l’esecuzione di una manometria anale per l’esatta discriminazione dell’ipertono sfinteriale.  Queste indagini sono essenziali per una corretta impostazione della cura.

Trascurare la cura della ragade anale può comportare alcune complicanze più o meno gravi, che possono compromettere la qualità di vita del paziente. La cronicità della ragade anale può prevedere anche periodi, più o meno lunghi di assenza di sintomi che comunque compaiono con periodicità. In molti pazienti si assiste all’insorgenza del prurito anale, intenso e a volte insopportabile e i continui tentativi di risoluzione di questo sintomo portano alla comparsa di altre lesioni della regione anale e perianale. La necessità di grattarsi e i tentativi di lenire il prurito con continui lavaggi, determina una dermatite della cute circostante, con arrossamento, essudazioni e ulcerazioni cutanee. Su queste si possono instaurare superinfezioni favorite anche dalla localizzazione in una zona del corpo particolarmente, fisiologicamente, poco pulita. Inoltre non è raro assistere all’insorgenza di ascessi e fistole. In questi casi, l’infezione della ragade anale, progredisce rapidamente nella regione circostante, nel grasso perianale e gluteo, con la formazione di sacche di pus. La risoluzione di queste complicanze è spesso lunga e molte volte lascia in secondo piano la terapia della ragade anale stessa.

La cura
La maggior parte dei pazienti con ragade anale guarisce senza alcuna terapia.  Infatti la ragade anale insorta acutamente a seguito di un unico episodio di stitichezza, con la ripresa di un evacuazione regolare e morbida, cicatrizza spontaneamente. In questi casi non si assiste all’insorgenza dell’ipertono sfinteriale, causa di una cattiva circolazione ematica in quel distretto e quindi di una diminuita afluenza dei fattori cicatrizzazione delle ferite. Se la lesione non guarisce e persistono i sintomi del dolore e del sanguinamento è necessario, in prima istanza, instaurare una terapia medica. La terapia medica  è basata sull’uso di creme e pomate locali ad effetto cicatrizzante e miorilassante, sulla cura della stipsi con integratori di fibre, e accurate norme igienico alimentari. Questa terapia è spesso consigliata nella patologia acuta con alte percentuali di successo. Se la ragade anale non guarisce dopo aver effettuato la terapia medica, è necessario intervenire al fine di ridurre l’ipertono anale (quando presente) e curare i fattori scatenanti. La riduzione del tono anale può essere raggiunta mediante l’utilizzo di una pomata alla nitroglicerina, o tramite l’iniezione della tossina botulinica. L’utilizzo dei dilatatori anali crioterapici offre ottimi risultati ( applicazioni quotidiane endoanali per circa 30 giorni). Tali trattamenti agiscono sulla causa scatenante della ragade anale, ossia l’ipertono sfinteriale e la scarsa vascolarizzazione.

Quando tali metodi falliscono, l’intervento chirurgico diventa la terapia di scelta. Nella ragade anale acuta si attua la sfinterotomia interna che consiste nel sezionare in maniera modulata la parte inferiore delle fibre del muscolo sfintere anale interno. Può essere usata anche una sfinterotomia radiale mediante un palloncino che gradualmente ed in sedazione viene gonfiato nel canale anale. Nella ragade anale cronica,alla sfinterotomia, si preferisce la fissurectomia, cioè la pulizia della ragade con l’asportazione dei margini della ferita e la pulizia chirurgica del fondo della piaga. Questi tipi di trattamenti possono essere eseguiti in Day Hospital non prevede dolore post-operatorio e la guarigione completa si ottiene in 4, 6 settimane.

La risoluzione chirurgica della ragade anale determina un immediato beneficio soprattutto si assiste all’immediata scomparsa del dolore anale, mentre lievi sanguinamento possono persistere fino alla completa cicatrizzazione della lesione.

Il Dott. Nicastro riceve anche in Puglia

AttilioNicastro No Comments

ATTENZIONE!
Il Dott. Nicastro riceve  in Puglia, presso il suo Studio in Piazza Ludovico Ariosto n°9 Lecce. Per INFO e APPUNTAMENTI, contattare la segreteria generale di Roma (0665975188)

INCONTINENZA URINARIA, il sintomo nascosto dalle donne

AttilioNicastro No Comments

fontanella-roma-libri L’Incontinenza Urinaria è un sintomo frequente nelle donne che ne compromette, in modo importante, la loro qualità di vita.

Stime basate su indagini di mercato prevedono che l’Incontinenza Urinaria colpisce oltre 4 milioni di donne in età adulta.

L’incontinenza urinaria riconosce diverse cause ma quelle più frequenti sono quelle che causano una alterazione della statica della muscolatura del pavimento pelvico.

In questi casi si parla di Incontinenza urinaria da sforzo, o da stress, e si manifesta con l’aumento della pressione addominale conseguente a colpi di tosse, starnuti, risate, ponzamento o manovra di Valsalva, saltelli, ecc.. E’ tipica del sesso femminile, soprattutto nelle donne che hanno avuto uno o più parti naturali e in quelle in menopausa, ma può insorgere anche nelle nullipare, nelle giovani e nelle sportive. L’incontinenza urinaria da sforzo può essere accompagnata da prolasso uro-genitale. Nel sesso maschile l’incontinenza urinaria da sforzo consegue ad interventi sulla prostata (sia endoscopici che “a cielo aperto”, per patologie benigna e maligna), o ad interventi plurimi e complessi per stenosi dell’uretra posteriore.

La terapia dell’incontinenza urinaria ha subito un notevole sviluppo negli ultimi 30 anni. Alle terapie tradizionali (chirurgiche e farmacologiche) si è affiancata e spesso sostituita la terapia riabilitativa.

Le principali metodiche riabilitative per l’incontinenza urinaria sono: La fisiokinesiterapia (FKT), l’elettrostimolazione funzionale (ESF), il biofeedback (BFB) alle quali si aggiunge, in alternativa o contestualmente, la ExMI (Extracorporal Magnetic Innervation).

I protocolli di riabilitazioni non prescindono dalla accurata diagnosi dell’incontinenza urinaria, dall’attenta valutazione delle condizioni cliniche dei pazienti e dal tipo di incontinenza (da sforzo, da urgenza, goccia a goccia o da overflow).

I protocolli di riabilitazione nell’Iincontinenza urinaria da sforzo devono variare in base alle caratteristiche cliniche dei pazienti, al loro grado di partecipazione e motivazione, alla comprensione dell’iter da seguire.

La assenza di effetti collaterali, le ripetibilità e la facile attuazione dei protocolli di riabilitazione fanno si che essi possono essere attuati in tutte le disfunzioni vescico-uretrali; quindi, anche le pazienti considerate a grande rischio di insuccesso (grave I.U., grave insufficienza sfinteriale e pregressa chirurgia pelvica) possono essere sottoposte ad un protocollo intensivo di riabilitazione pelvi-perineale.

Nell’incontinenza urinaria da sforzo il protocollo di riabilitazione prevede sedute trisettimanali (fino a 15 sedute), durante le quali le pazienti vengono sottoposte a FKT, ESF e BFB. La FKT è attuata allo scopo di fare apprendere alla paziente un buon comando perineale, migliorando la forza di contrazione dell’elevatore dell’ano. Questa prima fase è rinforzata con l’applicazione dell’ESF. Questa è eseguita mediante sonde vaginali a due elettrod, a 50 Hz, con corrente bifasica, con tempi di lavoro di 5, 10 secondi ed intervalli di riposo doppi (10, 20 secondi). L’elettrostimolazione endocavitaria può essere sostituita dall’applicazione della ExMI. Questa metodica prevede l’utilizzo di una poltrona alla cui base è posto un emanatore di onde elettromagnetiche terapeutiche. La paziente, senza spogliarsi, è seduta sulla poltrona e la muscolatura del pavimento pelvico è stimolata, con impulsi regolari e cadenzati, a 10/20/50 HZ. Dopo 5/6 sedute, nel momento in cui la paziente raggiunge il controllo della contrazione perineale, viene aggiunto nel protocollo il biofeedback, che noi preferiamo eseguire con sonde vaginali presorie. Mediante il biofedeebck si rinforza il controllo della contrazione volontaria del pavimento pelvico gradualmente, fino a sviluppare pressioni di 100 e oltre cm di H2O, mantenute per periodi crescenti di 5, 10 e 20 secondi. Ad ogni contrazione, graduale o massimale, segue un periodo di riposo doppio rispetto a quello di lavoro (10, 20, 40 secondi). Il protocollo può essere applicato all’I.U. maschile dopo interventi chirurgici eseguiti sulla prostata e sull’uretra ed, ovviamente, le sonde utilizzate sono quelle anali, identiche a quelle utilizzate nell’incontinenza fecale.

I risultati ottenuti dai protocolli di riabilitazione per la cura dell’incontinenza urinaria, variano a seconda le casistiche e sono compresi in un range tra lo 0 ed il 70%. Questa variabilità, seguendo una revisione della letteratura, dipende dalle differenze di applicazione delle metodiche, dalla selezione dei pazienti, dalla durata dei trattamenti. I risultati ottenuti nella nostra esperienza, nei centri di colon proctologia da me diretti, si avvicinano all’90% di guarigioni, anche se poi è difficile dare giudizi definitivi sulla loro durata nel tempo. Possiamo comunque muovere solo considerazioni positive a favore della riabilitazione e possiamo affermare che essa (quando è ben condotta direttamente dal medico o da un terapista della riabilitazione adeguatamente formato) non presenta effetti collaterali, è ripetibile sullo stesso paziente e si può prospettare, nei casi più gravi e nelle recidive, il suo uso propedeutico cronico al fine di mantenere una performance pelvi-perineale ottimale.

 

 

INCONTINENZA FECALE

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ecografia-analeL’incontinenza fecale o anale è l’incapacità di ritardare volontariamente l’evacuazione in un tempo ed in un luogo socialmente idonei. Si riconoscono due tipi di incontinenza fecale: 1) Totale, quando si ha la perdita, involontaria, anche di feci normoconformate, 2) Parziale, quando si ha la perdita involontaria soltanto di feci liquide e/o gassose. Anche se in Italia non esistono dati sicuri sulla sua incidenza nella popolazione, l’incontinenza fecale rappresenta un problema sociale di grande rilevanza, soprattutto in rapporto alla qualità di vita dei pazienti. Le cause dell’incontinenza fecale sono molteplici (traumi del bacino, turbe psichiche e neurologiche), ma le più frequenti sono rappresentate dagli interventi chirurgici eseguiti sul retto, sull’ano e sulla regione perianale che possono provocare lesioni dirette dei muscoli sfinteriali. Nelle donne la muscolatura del pavimento pelvico e più direttamente, gli sfinteri anali, possono essere lesi anche in seguito ad interventi ostetrici o a lacerazioni durante il parto. Inoltre le malattie ano-rettali, quali il prolasso, la ragade anale, le emorroidi di grado elevato, se persistono da un lungo periodo di tempo possono condurre alla incontinenza fecale. Per una corretta ed adeguata terapia dell’incontinenza fecale è necessario quantificare il danno funzionale ed anatomico a carico degli sfinteri mediante un’attenta e scrupolosa Visita proctologica, completata con una Videoproctoscopia Digitale, la Manometria e l’ Ecografia Endoanale con sonda rotante a 360°, mentre più raramente si fa ricorso all’Elettromiografia del pavimento pelvico, degli sfinteri anali, studio dei tempi di latenza del Pudendo ed alla Defecografia, oggi sostituita con la RMN pelvi-perianeale dinamica. Le lesioni gravi degli sfinteri (con deficit superiore al 50%) devono essere trattate chirurgicamente; In questi casi l’intervento prevede la ricostruzione plastica della muscolatura, con riparazione diretta degli sfinteri. Se l’incontinenza fecale è dovuta ad una patologia benigna dell’ano-retto (prolasso, ragade, emorroidi etc.) la risoluzione chirurgica di questa, a sfintere integro, riconduce alla continenza. Nel caso si associ una lesione sfinteriale, occorre completare l’intervento con una sfinteroplastica. Se il danno funzionale degli sfinteri è di piccola o media entità, è possibile procedere ad un trattamento riabilitativo allo scopo di potenziare la forza contrattile dello sfintere striato anale. Gli originali protocolli di riabilitazione dell’incontinenza fecale utilizzando metodiche di Fisiokinesiterapia, Elettrostimolazione e Biofeedback che vengono impostate in base alle caratteristiche cliniche del paziente. Ogni seduta ha la durata di circa 60 minuti e viene ripetuta tre volte a settimana. Durante il trattamento, il paziente viene sottoposto a periodici controlli specialistici per la valutazione del miglioramento, in termini di durata e di forza di contrazione, degli sfinteri anali.

RIABILITAZIONE COLONPROCTOLOGICA 1983-2013

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Il termine di Riabilitazione, in Colonproctologia, è  identificato con l’assistenza pluridisciplinarIe dei pazienti portatori di stomie. La riabilitazione  prevede il recupero psico-fisico e sociale, la cura dello stoma, il recupero della continenza. Quest’ultimo obiettivo ha permesso un primo approccio “non chirurgico” alla risoluzione della incontinenza fecale presente nei soggetti non stomizzati.

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Cura della stipsi

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